Scoliosi e sport

21 Dic 2019 Articoli

La scoliosi è la Deviazione permanente laterale e rotatoria della colonna vertebrale, cui conseguono alterazioni estetiche e funzionali. Essa si aggrava in corrispondenza della fase di accrescimento e si arresta nell’evoluzione quando cessa l’attività di crescita di osso e cartilagini. E’ una patologia complessa la cui causa nel 70-80% dei casi rimane sconosciuta; si parla in tal caso di scoliosi idiopatica. Sovente i genitori pongono la domanda sull’influenza dell’educazione fisica scolastica e dello sport nel giovane portatore di dismorfismi vertebrali, come appunto la scoliosi. L’attività fisica e lo sport devono essere considerati inscindibilmente legati alla ginnastica medica, di cui rappresentano per così dire il “versante attivo”.

La colonna di un soggetto cha ha appreso gli “schemi motori corretti” durante le sedute di cinesiterapia risponde alle sollecitazioni di carico e di squilibrio nel corso delle attività motorie con reazioni riflesse di tipo correttivo, anziché deformante. E’ quindi non solo utile, ma addirittura necessario, svolgere, come complemento alla cinesiterapia anche delle attività di tipo sportivo. Esse permettono l’allenamento di qualità fisiche e neuromotorie di base, oltre a sviluppare una “immagine positiva del corpo”, elementi che risultano vitali per un giovane adolescente affetto da scoliosi.

Per quanto riguarda le attività fisiche e sportive, nei giovani affetti da scoliosi sono generalmente controindicate le attività soprattutto a livello agonistico mobilizzanti del rachide, perché rendono la colonna più flessibile e quindi più facilmente deformabile. Fra queste segnaliamo la ginnastica artistica, la ritmica, la danza classica, il nuoto. Ci sembra importante ricordare un luogo comune ormai sfatato da tempo: il nuoto come “toccasana” della scoliosi. In passato, il nuoto veniva considerato lo sport ideale nella scoliosi in quando si riteneva che togliesse il paziente dall’azione nefasta della forza di gravità e questo potesse avere un effetto terapeutico.

Oggi si sa invece che, in un soggetto affetto da scoliosi, è più importante potenziare le capacità di opporsi alla forza di gravità e che, quindi, in questo senso è utile praticare degli sport in carico. Il nuoto, se praticato intensamente, rende la colonna più mobile e quindi più facilmente deformabile. Inoltre, è stato dimostrato che nelle scoliosi con una deformazione toracica superiore ad una certa soglia, il nuoto non solo non è una panacea, ma è addirittura dannoso, in quanto sviluppa un meccanismo rotatorio autodeformante, provocato dalle respirazioni forzate e dalla pressione esterna dell’acqua sul cilindro toracico deformato.

È tuttavia da precisare che tutte le attività motorie, comprese quelle mobilizzanti, quali il nuoto, la ginnastica artistica, la ritmica e la danza, non sono mai dannose se praticate in forma ricreativa duo o tre volte la settimana. Tuttavia, quando è possibile scegliere, in presenza di scoliosi è meglio praticare sport in carico e che non mobilizzano eccessivamente la colonna e che non siamo monolaterali nella gestualità o asimmetrici.

L’osservazione può essere il trattamento più adatto per le curve lievi della colonna vertebrale, per le curve a basso rischio di peggioramento o per quelle caratterizzate da un’anamnesi favorevole dopo che il processo di crescita si è arrestato. L’osservazione implica visite regolari da parte di un medico che verifichi l’eventuale miglioramento o peggioramento della curva. L’ Esercizio fisico e lo stretching sono importanti per la scoliosi perchè possono aiutare ad alleviare il dolore e rafforzare i muscoli della schiena, aiutando ad alleviare la tensione e lo stress causato dalla scoliosi.

Il Lavoro principale consiste nel rafforzare la  muscollatura di stabily core sostenendo così  la colonna vertebrale. Se la curvatura della colonna vertebrale è di 25-40 gradi e continua ad aumentare, si  può consigliare l’utilizzo di un tutore ortopedico, per evitare che la curvatura peggiori nel corso della crescita. L’intervento chirurgico può essere un’opzione di trattamento utile per correggere curvature superiori ai 45 gradi in età adulta, o curvature per cui il ricorso a un tutore ortopedico non si è rivelato efficace. Il trattamento chirurgico della scoliosi ha, in genere, due obiettivi: arrestare il peggioramento della curva e correggere la deformità della colonna vertebrale.

La postura

21 Dic 2019 Articoli

“…la postura è espressione di un vissuto ereditato, di un vissuto personale, della formazione e deformazione culturale, di memorie dei propri traumi fisici ed emotivi, del tipo di vita e di stress che conduciamo, del tipo di lavoro e di sport a cui ci siamo assoggettati nel tempo; postura è il modo in cui respiriamo, il mondo in cui stiamo in piedi, ci atteggiamo e ci rapportiamo con noi stessi e con gli altri. La nostra postura è espressione della nostra storia”.

(D.Raggi, 1998)

Il sistema posturale quindi è un insieme molto complesso, che vede coinvolte strutture del sistema nervoso centrale e periferico, soprattutto l’occhio, il piede, il sistema cutaneo, i muscoli, le articolazioni ma anche l’apparato stomatognatico (sistema occlusale e lingua) e l’orecchio interno.

Il sistema nervoso centrale utilizza le informazioni ricevute da occhio, pianta dei piedi e cute in primo luogo, per avere la consapevolezza della posizione del corpo e poter impostare correttamente quanto voluto nei confronti del mondo esterno e di se stesso.

E’ comune che il sistema posturale, direttamente legato alla singola ed individuale storia di ognuno di noi, con il passare del tempo vada incontro a modificazioni e problematiche.

In un primo momento, il “sistema” cercherà di compensare in qualche modo (spalla più alta, rotazioni del bacino, atteggiamenti scoliotici, vizi di appoggio plantare, testa inclinata etc.) fino a quando ne avrà la possibilità.
In un secondo momento, invece, quando le capacità compensatorie dell’organismo si interromperanno, compariranno le prime avvisaglie patologiche.
Questo sistema, infastidito dai vari compensi, quindi, vedrà insorgere tutte le problematiche più comuni (cefalee, cervicalgie, nevralgie, difetti di masticazione e dell’occlusione dentale, dorsalgie, lombalgie, lombosciatalgie, dolori alle spalle, alle braccia, alle anche, alle ginocchia, alle caviglie) ma anche disturbi meno noti (difficoltà di guidare la notte o di concentrazione nella lettura, maldestrezza, click mandibolari etc.): tutte patologie che complicano e condizionano notevolmente la vita quotidiana e, di conseguenza, la nostra psiche.

E’ fondamentale a questo punto, pur con tutte le difficoltà facilmente immaginabili, agire ai vari livelli ed in un tempo adeguato, attraverso una collaborazione coordinata con altri professionisti, per correggere e tentare una riprogrammazione del “sistema”. La posturologia non è una disciplina a sé stante, affronta il problema all’origine e cerca di dare risposte agli effetti e, quindi, alla sintomatologia.

Per prevenire l’insorgenza delle problematiche patologiche correlate ad atteggiamenti compensatori è importante acquisire le giuste informazioni riguardo il modo attraverso il quale ciascuno di noi dovrebbe stare in piedi o muoversi durante le attività quotidiane, riguardo cioè la postura corretta, statica e dinamica.
Questa è ergonomia, l’insieme delle tecniche migliori per eseguire le attività quotidiane con un minor dispendio energetico e con una distribuzione ottimale del carico di lavoro.

Come dormire

Un buon sonno contribuisce in modo determinante al mantenimento della salute, dell’equilibrio psico-fisico, al ringiovanimento dei tessuti e alla longevità. Affinché il sonno sia veramente ristoratore del corpo e della mente, è importante che sia profondo, tranquillo, possibilmente ininterrotto e che tutti i muscoli siano distesi.
Dormire troppo a lungo, al contrario di quanto erroneamente si crede, è dannoso quanto dormire troppo poco. In media sono necessarie da 7 a 9 ore di sonno per svegliarsi riposati e pronti alle attività giornaliere.
Per ottenere un sonno profondo e ristoratore vi segnaliamo alcuni accorgimenti:

Il  materasso non deve essere ne’ troppo morbido ne’ troppo rigido

Evitate coperte troppo pesanti e materiali sintetici

Il cuscino deve essere adatto a ciascuno di noi in modo da mantenere la corretta lordosi cervicale

Evitate di coricarsi subito dopo pasti troppo abbondanti. Spesso una digestione laboriosa compromette un buon sonno.

Come stare in piedi

La stazione eretta di una persona è il risultato di un equilibrio strutturale del suo scheletro, della sua attitudine mentale e del tipo di attività che svolge. La cosa fondamentale per avere un buon portamento è avere le strutture ossee allineate correttamente. Per tutti, anche per coloro che sono affetti da severe alterazioni, esiste un portamento ideale e la possibilità di migliorare quello che viene assunto abitualmente.
Un buon portamento ha inizio dai piedi. Entrambi devono essere tenuti rilassati e posti sul pavimento solidamente e in ugual modo.
In secondo luogo vengono le gambe, che normalmente hanno la stessa lunghezza. In presenza di un accorciamento, reale o apparente, di un arto, il bacino risulta inclinato dallo stesso lato e così pure la colonna lombare, ma con una deviazione opposta dei tratti superiori della colonna. Sopra le gambe c’è il bacino che sostiene tutta la colonna vertebrale. E’ questa la zona che causa la maggior parte dei problemi al portamento. L’equilibrio della colonna vertebrale dipende dall’allineamento delle varie curve rispetto alla linea a piombo immaginaria che passa per il centro di gravità: l’aumento o la diminuzione di una delle curve viene compensata dalla variazione delle altre due.
Nessuna delle curve naturali della colonna vertebrale deve essere accentuata o ridotta; le orecchie, le spalle e il bacino devono essere tenuti gli uni sopra gli altri, su un asse perpendicolare a quello dei piedi. Tutto il peso del corpo deve essere bilanciato al centro, esattamente tra i due piedi.

 Come camminare

Ognuno di noi, per svariati motivi, cammina in un suo modo particolare. Il più delle volte questo modo di camminare non è meccanicamente corretto; c’è chi cammina con i piedi “piatti”, chi si appoggia più sulle punte, chi più sui talloni. Il modo corretto di camminare presuppone che il piede esegua un movimento di rullata sul terreno a partire dal tallone lungo tutta la pianta del piede, sino alle dita, in particolare l’alluce che è l’ultimo a staccarsi dal suolo.
La persona che cammina dovrebbe avere una posizione eretta, ma non rigida, con il baricentro che cade tra i due piedi. Avere un’andatura dondolante, dovuta allo spostare continuamente l’asse del corpo prima su una gamba e poi sull’altra, squilibra la normale azione sinergica e antagonista dei muscoli che sorreggono la colonna vertebrale.
E’ molto importante, infine, ricordare che le braccia devono eseguire un movimento ritmico e coordinato con il passo: il braccio destro viene portato in avanti quando si fa il passo con il piede sinistro e viceversa.

Come portare e sollevare i pesi

Il collo e le spalle sono spesso sede di dolori muscolari e di tensioni. Questi dolori insorgono durante la giornata se non ci rilassiamo sufficientemente e in seguito si aggravano con le attività ripetitive eseguite sempre da uno stesso lato. L’abitudine di portare sempre sulla stessa spalla borse od oggetti pesanti, si accompagna inevitabilmente ad una inclinazione dal lato opposto della testa (per compensazione), con conseguente atteggiamento scoliotico.

Allo stesso modo, portare abitualmente uno zaino pesante sempre dallo stesso lato può essere dannoso per la colonna vertebrale, che durante l’età scolare è in pieno sviluppo.
Evitare di sollevare oggetti pesanti con movimenti bruschi a busto flesso.
Bisogna ricordarsi perciò di piegare sempre le ginocchia mantenendo il busto eretto e contraendo gli addominali nella fase di sollevamento del peso.
Questo semplice accorgimento consente di ridurre la pressione sul tratto lombare di circa il 30%.

Come stare seduti

La sedia dovrebbe avere un’altezza sufficiente per dare un comodo appoggio alle natiche e alle gambe, permettendo ai piedi di appoggiarsi comodamente al suolo.
Pertanto quando stiamo seduti le gambe devono trovarsi in posizione orizzontale. Nello stesso tempo la colonna vertebrale deve essere sostenuta dallo schienale della sedia senza che la posizione assunta ne accentui o ne riduca le curvature naturali. Una scrivania adeguata, una sedia corretta ed una buona postura possono eliminare la maggior parte dei disturbi dolorosi dovuti alle lunghe ore dedicate allo studio. Un leggio posto all’altezza degli occhi può aiutarci a mantenere il busto eretto e ad eliminare le tensioni della colonna cervicale. L’altezza, rispettivamente della scrivania e della sedia, devono far sì che gli avambracci e le gambe lavorino su un piano orizzontale.

L’abbigliamento

Il corpo ha un termostato di controllo per la propria temperatura. Quando fa troppo caldo si produce la traspirazione, con conseguente raffreddamento del corpo mediante l’evaporazione. Quando fa troppo freddo il corpo crea calore con delle rapide e ripetitive contrazioni dei muscoli (brividi e battito dei denti). Il corpo si controlla da se: ricordatevi che coprirsi troppo provoca lo stesso danno che coprirsi insufficientemente.

 

Appoggio plantare scorretto

21 Dic 2019 Articoli

Si definisce scorretto appoggio plantare una condizione anatomica e funzionale che altera lo stato fisiologico del piede quando entra in contatto con il suolo, ovvero con la sua porzione anteriore, laterale e posteriore.

Piede piatto: presenta un appianamento della volta plantare longitudinale che può essere dovuta a svariate cause, sia congenite che acquisite.
Un piede piatto congenitamente malformato presenta una volta mediale longitudinale che appare convessa.

Il piede piatto può essere anche una conseguenza di alterazioni biomeccaniche intrinseche al piede, come la deformazione in valgismo del calcagno con conseguente abbassamento della volta plantare, o il piede distrofico o rachitico, o cause traumatiche, flogistiche e neoplastiche.

Piede cavo: è la condizione opposta al piede piatto, costituita da un incremento della concavità della volta plantare, con gli archi longitudinali maggiormente pronunciati. Il piede cavo può essere causato da: malformazione congenita, trauma dovuto all’utilizzo di calzature scorrette, malattie che intaccano il sistema nervoso (piede cavo neurologico) e malattie reumatiche

Piede pronato: il piede si presenta ruotato sul proprio asse longitudinale, la pianta è rivolta verso l’esterno e l’altezza dell’arco è inferiore a quella fisiologica. L’impronta del piede pronato risulta medializzata con assenza della zona laterale del piede.

Piede supinato: il piede, ruotato sul proprio asse longitudinale, presenta la pianta rivolta verso l’interno. È più difficile riconoscere un piede supinato rispetto ad uno pronato, ma comunque è evidente l’aumento dell’arco plantare e lo spostamento verso l’interno dell’avampiede. L’impronta podalica risulta spostata lateralmente.

Piede torto: è una deformazione rigida permanente costituita da alterati punti di appoggio al suolo (piede supinato rigido). È una malformazione spesso genetica, di origine embrionaria. La pianta del piede torto risulta flessa con volta accentuata e l’asse del calcagno è deviato medialmente rispetto all’asse longitudinale della gamba.

Piede talo: è costituito da un appoggio del piede prevalentemente sul calcagno.

Piede equino: presenta un appoggio plantare prevalente sull’avampiede, in particolare sui metatarsi.
È una malformazione che può essere congenita o che può svilupparsi nella fase adolescenziale a causa di una crescita molto rapida dei segmenti ossei della gamba e della coscia che non corrisponde allo sviluppo muscolare e tendineo.
I passi dei soggetti con questa patologia sono piccoli e le impronte risultano unicamente sull’avampiede.

Pur rappresentando una delle più frequenti richieste di consulenza specialistica in età pediatrica, il piede piatto rimane ancora oggi un argomento di difficile interpretazione dal momento che raggruppa in una stessa definizione eziologica una serie di varianti anatomiche estremamente differenti tra loro per prevalenza, gravità prognostica e strategie terapeutiche da adottare.

La mancanza di criteri diagnostici universalmente accettati, la difficoltà nel riconoscere fattori prognostici certi, l’allarmismo diffuso ed amplificato nell’opinione pubblica da fonti scientifiche non attendibili rendono talvolta molto difficile potersi relazionare con le famiglie su questo argomento.

Il piede piatto in età pediatrica è di comune riscontro (circa il 90% dei bambini al di sotto dei 2 anni di età presenta un appiattimento più o meno pronunciato della volta plantare per ridursi spontaneamente al 4% dopo i 10 anni di età con il normale accrescimento fisiologico dell’apparato muscolo-scheletrico, tanto da essere considerato nella maggioranza dei casi una variabile della normale conformazione del piede del bambino detto infatti  piede lasso dell’infanzia.

Il Piede lasso dell’infanzia si colloca cronologicamente  tra il 3° e il 6° anno di vita, è asintomatico e si rende evidente solo sotto carico, mentre in scarico e in punta di piedi la sua morfologia è del tutto normale.

Il Piede Piatto dell’adolescenza si colloca cronologicamente tra il 6° e il 13° anno di vita , è la continuazione del piede lasso dell’infanzia, ma a questa età può diventare sintomatico.

Per questo motivo il piede piatto essenziale dell’adolescenza viene suddiviso in 3 sottogruppi:

piede piatto funzionale (asintomatico)

piede piatto contratto (sintomatico)

piede piatto strutturato (sintomatico)

Nel piede piatto contratto e strutturato l’eccessivo svolgimento dell’elica plantare e la pronazione del calcagno rimangono tali anche in scarico e il calcagno conserva in punta di piedi il suo assetto in pronazione.

Da sottolineare, quindi, che deve essere la presenza della sintomatologia correlata, piuttosto che la morfologia dell’impronta, la discriminante tra ciò che è patologico e ciò che è normale.

I criteri diagnostici principali, quindi, da valutare in un piede piatto in età pediatrica sono i seguenti:■ l’età del bambino ■ il grado di riducibilità ■ la presenza di sintomi clinici associati (dolore, retrazioni mio tendinee, limitazioni mobilità articolare).

Di fronte ad un piede piatto sintomatico bisogna considerare:■ l’età, le modalità d’insorgenza, le caratteristiche della sintomatologia dolorosa e la qualità del cammino (compare durante attività sportiva o anche a riposo? limita il bambino nelle sue comuni attività?);■ la riducibilità delle deformità del piede sintomatico ai test funzionali.

È inoltre fondamentale di fronte ad un piede piatto sintomatico eseguire una corretta localizzazione anatomica del dolore (articolare, metafisario diafisario), valutarne il timing (mattutino o notturno) o se è associato a sintomi di flogosi, in quanto il piede piatto sintomatico può essere, anche se raramente, sintomo di patologie sistemiche di natura reumatica, infiammatoria, neoplastica, post traumatica o neurologica.

La causa più frequente di piede piatto rigido in età pediatrica è costituita dalle sinostosi tarsali una malformazione congenita relativamente frequente (3–6% dei piedi in età pediatrica), caratterizzata da piattismo della volta longitudinale plantare con valgismo del meso-retropiede, rigidità delle articolazioni del tarso, dolore e contrattura dei muscoli estensori e pronatori del piede.

Quindi, alla luce delle moderne conoscenze l’identificazione del piede piatto in età pediatrica con la sola assenza o riduzione morfologica dell’altezza dell’arco plantare non è più accettabile in quanto i parametri morfologici del piede piatto non hanno un valore predittivo sufficiente per distinguere con certezza i soggetti a rischio da quelli a remissione spontanea e tale semplificazione può indurre in errore nello screening e causare over-treatment in ambito specialistico.

Compito del medico specialista sarà quello di riconoscere quel ristretto numero di bambini nei quali al piede piatto valgo si associa un corredo sintomatologico indicativo di una evoluzione patologica (comunque mai prima dei 6 anni).

La monolateralità dell’affezione , la facile affaticabilità del bambino, il dolore irradiato alla gamba, la limitazione funzionale, la mancata auto-corregibilità sono tutti segni , che singolarmente o in associazione, qualificano il piattismo plantare come condizione patologica.

La  maggioranza degli articoli  sull’argomento concludono per l’inefficacia di un trattamento con plantari nel trattamento del piede piatto fisiologico non sintomatico reputandola una scelta terapeutica ininfluente se non addirittura dannosa , disturbando il normale processo di maturazione e di normalizzazione dell’arco plantare, essendo in grado di sviluppare dipendenza al trattamento, una minore autostima ed effetti psicologici negativi anche in età adulta.

Raramente indicato, il trattamento chirurgico va preso in considerazione se il trattamento conservativo (ortesico, riabilitativo) non ha dato i risultati sperati, se la deformità in età adolescenziale si è dimostrata ingravescente e/o se la sintomatologia dolorosa, quando presente, limita le normali attività (ludico-sportive e/o quotidiane) del bambino. Solo una quota non superiore al 5% dei piedi piatti dell’adolescente e dell’adulto richiede un trattamento chirurgico.

Scopo del trattamento chirurgico nel paziente pediatrico è quello di ridurre o eliminare il dolore, ridurre la deformità anatomica e ripristinare un corretto allineamento articolare preservando la mobilità articolare (quando possibile).

In Conclusione nonostante quanto emerso dall’analisi della letteratura più moderna sull’argomento, il piede piatto in età pediatrica ancora oggi è motivo di ansia e preoccupazione ingiustificate da parte delle famiglie anche se nella stragrande maggioranza dei casi rappresenta una normale variante anatomica del piede del bambino e si normalizza nella prima decade di vita senza alcun trattamento. La mancanza di chiarezza su come eseguire una diagnosi di piede piatto in età pediatrica e su come identificare i casi a rischio da inviare allo specialista ha provocato la proliferazione di richieste specialistiche ‘sociali’ (ortopediche, fisiatriche, osteopatiche) e di trattamenti (conservativi, riabilitativi e chirurgici) ‘preventivi’ con un conseguente sempre crescente aumento dei costi sanitari La scelta di trattare con ortesi plantare o chirurgicamente un piede piatto in età pediatrica, soprattutto se asintomatico, non deve essere una scelta dettata da un orientamento o da una scuola di pensiero o giustificabile dal punto di vista scientifico , pensando così erroneamente di poter ottenere risultati clinici e funzionali superiori a quelli ottenibili con la sola sorveglianza clinica

Alimentazione e Sport

21 Dic 2019 Articoli

“SOLO UNA SANA ALIMENTAZIONE GARANTISCE IL RENDIMENTO OTTIMALE, NON ESISTONO CIBI PARTICOLARI CHE MIGLIORANO LA PRESTAZIONE”

 

Partendo da questo è necessario avere una consapevolezza alimentare, e prendere confidenza con pochi concetti generali   utili   per impostare una giusta alimentazione, in relazione agli sforzi fisici da sostenere.

Dobbiamo innanzitutto ricordare che tutto ciò che introduciamo nel nostro organismo, deve servire contemporaneamente:

  • come benzina (le calorie),
  • come protezione (vitamine, minerali, fibre, antiossidanti),
  • per la regolazione termica (l’acqua delle bevande e quella contenuta nei cibi),
  • per la continua manutenzione dei pezzi usurati (le proteine con i loro aminoacidi essenziali che permettono il continuo rinnovamento dei tessuti).

Il motore umano ha bisogno di una miscela di macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi) con dei rapporti percentuali preferenziali per funzionare al meglio.

La miscela più opportuna per qualsiasi essere umano (sedentario o sportivo non fa poi molta differenza, se non per la minore o maggiore quantità di miscela, mentre la sua composizione percentuale è simile) è composta da :

Il 50-60% delle calorie che occorrono a ciascuno di noi deve provenire dal gruppo dei carboidrati, non più del 30% dal gruppo dei grassi ed il restante 10-20% dal gruppo delle proteine.

Dato che il motore umano è molto complesso, necessita anche elementi “protettivi” (vitamine, minerali, ecc.).

I carboidrati

La combustione del glucosio (la forma più semplice dei carboidrati che dopo la digestione passerà nel sangue) produce, nelle cellule del corpo umano, energia .

I carboidrati sono gli alimenti che in tutto il mondo forniscono all’uomo la base dell’alimentazione, ovvero almeno la metà delle calorie che occorrono, ogni giorno, per pagare la spesa di essere vivi e quella, molto più costosa, di muoversi e di correre.

Dove si trovano i carboidrati?

Soprattutto negli alimenti vegetali: nei cereali (pane, pasta, riso, mais, ecc.), nei legumi (fagioli, ceci, lenticchie), nei tuberi (patate), nella frutta e nelle verdure (lo zucchero ad esempio proviene dalla lavorazione della canna o delle barbabietole).

Ma anche, tra gli alimenti di origine animale, nel latte (lattosio 5 g per 100 g di latte) e, logicamente, nel miele. Nelle bibite (spremute, coca-cola, chinotti, ecc.) e più ancora nei dolciumi!

La distinzione dei carboidrati in “semplici” e “complessi” riguarda la velocità di assimilazione, cioè il tempo che impiegheranno per essere digeriti, quindi “smontati” e ridotti a molecole elementari (glucosio, fruttosio e galattosio) capaci di oltrepassare la parete intestinale e di entrare nel sangue.

Sono complessi, e perciò più lenti nella digestione, i carboidrati dei legumi, della pasta, del pane o del riso (tutti ricchi di amido, una molecola molto lunga e complessa che i nostri enzimi debbono accorciare nella digestione).

Sono considerati carboidrati semplici e di rapido assorbimento quelli del miele o dello zucchero (saccarosio) con cui dolcifichiamo il caffè, quelli della frutta o delle spremute.

 

Quindi potremmo riassumere :

La PRIMA COLAZIONE deve essere abbondante e ricca di carboidrati (pane, fette biscottate, biscotti, ecc.) uniti a latte, caffè, burro, miele, marmellata, yogurt, un uovo alla coque.
Il PRANZO, non abbondante, necessita di un equilibrio tra cibi prevalentemente proteici e glicidici. Pertanto riso o pasta conditi con sughi non grassi, carne o pesce ed una buona porzione di verdura, preferibilmente cruda e frutta fresca di stagione.
Colazione e pranzo devono garantire una costante disponibilità di energia per tutto l’arco della giornata.

La CENA, leggera, deve avere contenuti prevalentemente proteici come carne o pesce, uova, latte e formaggi.
Gli alimenti prevalentemente proteici della cena hanno lo scopo di ricostituire i tessuti usurati dalla attività fisica svolta durante la giornata. Ovviamente non deve mancare una minima quota di glicidi e verdura e frutta.

ALIMENTAZIONE E ALLENAMENTO

La scelta dei cibi e degli orari dei pasti vanno fatti in funzione dell’allenamento, del tipo di sforzo organico e muscolare e della durata dello stesso.

 

Si consiglia di:

– assumere alimenti a non meno di 3-4 ore dall’allenamento (la completa digestione degli alimenti avviene entro le 5-8 ore successive al pasto). Dopo l’allenamento, prima di assumere alimenti, è consigliabile che passino almeno 2-3 ore. La digestione e assorbimento degli alimenti sottrae sangue ai muscoli

– non consumare un pasto eccessivo in quanto il fenomeno della digestione determina un forte afflusso di sangue verso lo stomaco e l’intestino. L’attività fisica in queste condizioni contribuisce a rallentare la digestione (il sangue viene sottratto ai muscoli dagli organi digestivi) e a mantenere scarsa l’irrorazione sanguigna al cervello ed ai muscoli

– assumere giuste quantità di glicidi, intesi come zuccheri complessi (pane, pasta, biscotti, ecc.) che determinano un livello prolungato e costante di sostanze energetiche nel circolo sanguigno.

 

ALIMENTAZIONE E GARA

“Non esistono alimenti che possono far vincere una gara, ma esistono molti alimenti che possono farla perdere”

 

Prima della gara

Una norma prioritaria è quella di EVITARE INVENZIONI DIETETICHE DELL’ULTIMA ORA. Diete iperproteiche, iperglicidiche, integratori alimentari vari, vitamine e sali minerali ecc. oltre a non moltiplicare le energie dell’atleta, possono addirittura pregiudicarne il rendimento.

Infatti:

– un forte consumo di proteine rischia di alterare il pH del sangue portandolo verso l’acidità. Inoltre aumenta il sovraccarico di scorie metaboliche

– l’eccesso di grassi crea difficoltà digestive

– un eccesso di vitamine e sali minerali non possono essere immagazzinati come scorte e quindi non sono utilizzabili oltre la normale presenza nell’organismo. Può solo essere aggravato il lavoro degli organi deputati al ricambio (smaltimento del surplus).

Inoltre:

– il pasto dovrebbe essere facilmente digeribile e ricco di polisaccaridi (zuccheri complessi come pane, pasta, ecc.) che garantiscono un tasso glicemico del sangue costante per molte ore (tenere presente che i vari principi alimentari vengono resi disponibili per l’organismo solo dopo 5-8 ore dal pasto)

– vanno evitati i cibi “flatulenti”, capaci di determinare un notevole sviluppo di gas (carote, fagioli, ceci, lenticchie, pane integrale, alcuni tipi di verdure e frutta

– un eccesso di alcuni zuccheri semplici può determinare una “ipoglicemia reattiva” (o rimbalzo ipoglicemico) e quindi abbassare notevolmente il tasso zuccherino del sangue  fino a procurare una ipoglicemia vera e propria ed i sintomi ad essa collegati come stanchezza generale, sudorazione fredda, tremore alle gambe, irritabilità, ecc.

La somministrazione di zuccheri semplici va rimandata al momento del riscaldamento prima della gara. La preferenza va data al levulosio ed al fruttosio che facilitano il rilascio, da parte delle ghiandole surrenali, di catecolamine (amine biogene che possono avere funzioni di neurotrasmettitori o di ormoni, specialmente adrenalina) che inibiscono la produzione di insulina da parte del pancreas. Questo evita l’ipoglicemia reattiva.

Altri zuccheri possono essere somministrati solo durante la gara in quanto la liberazione di catecolamine, derivanti dalla attività fisica, inibisce la liberazione di insulina e quindi evita l’ipoglicemia reattiva.

Dopo il pasto principale e fino a 30-40 minuti prima dell’inizio della gara, possono essere utilizzate delle RAZIONI DI ATTESA composte di frutta e verdura centrifugate, da bere a sorsi ogni 30-40 minuti, oppure bevande energetiche a base di maltodestrine (polimeri del glucosio), quindi zuccheri semplici uniti a sali minerali e vitamine.

Per gli atleti che necessitano di PERDERE ULTERIORE PESO A RIDOSSO DELLA GARA   possono essere attuate alcune strategie tendenti a conservare inalterata l’efficienza fisica:

1- il giorno prima della gara va limitata l’ingestione di alimenti glicidici e di cibi eccessivamente “saporiti” (glicidi e sale trattengono notevoli quantità di acqua)

2- il giorno della gara si possono perdere, in maniera limitata e temporanea e alcune ore prima, modeste quantità di liquidi attraverso la sauna o la corsa a ritmo blando.

Il processo di reidratazione, per essere efficace, deve essere abbastanza lungo. A seconda delle situazioni si parte dalle 5 ore per arrivare anche alle 48 ore.

Durante la gara

Una gara prolungata, indipendentemente dalle caratteristiche dell’impegno muscolare, determina un utilizzo più o meno accentuato di tutti i principi alimentari. Prioritariamente i glicidi, quindi i grassi, ed in parte minore le proteine. Viene anche disperso parte del patrimonio idrico, salino e vitaminico che va opportunamente reintegrato. Esistono in commercio degli alimenti “formula” specifici per questo scopo. Si consiglia somministrarli con acqua o frullati di frutta in modo da ricostituire sia il patrimonio idrico che salino.

In alcune discipline di lunga durata (es.: corse ciclistiche su strada) può essere necessario anche un intervento con cibi solidi, ovvero dei piccoli pasti veri e propri. Questa razione, composta da zuccheri semplici, proteine e lipidi (latte e formaggi magri, uova) deve essere suddivisa in piccole porzioni (non superiori ai 50 gr) e consumata a intervalli regolari.

Dopo la gara

Scopo principale è il recupero fisico reintegrando innanzitutto il glicogeno muscolare e le riserve glucidiche in genere, il patrimonio idrico, la correzione dell’acidosi metabolica e l’eliminazione delle scorie.

Dopo un esercizio fisico intenso occorrono circa 20 ore per ricostituire le scorte di glicogeno muscolare (viene ricostituito mediamente del 5% ogni ora dopo lo sforzo).

Alcuni studi hanno dimostrato l’importanza della SOMMINISTRAZIONE GLUCIDICA immediatamente dopo la competizione in quanto nelle prime due ore la velocità di risintesi del glicogeno è maggiore.

Il pasto dopo la gara non deve sovraccaricare l’apparato digestivo:

– per il recupero energetico è bene non affrontare alcun impegno digestivo di rilievo prima che siano passate almeno 2 ore dalla competizione. È questo, in media, il tempo occorrente a far tornare il metabolismo e la circolazione sanguigna ai valori normali

– vanno ridotti notevolmente le proteine animali e gli alimenti acidogeni (carni, uova, pesce, grassi, cereali, ecc.), in modo da non produrre ulteriori scorie metaboliche nel circolo sanguigno

– la preferenza va data ai cibi alcalogeni (latte, frutta, verdura, ecc.)

– l’apporto calorico deve essere inferiore di circa 1/3 rispetto al normale fabbisogno quotidiano.

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